Figure
Luglio 2013
Galleria Centofiorini | In occasione del RIVE Festival
Testo critico di Marta Silenzi
Marco Luzi si presenta senza abbellimenti, con un’alzata di spalle imbarazzata per quel che è l’uomo ma deciso a mostrarlo, totalmente, pelle e carne esposte, organi fuori dai corpi, assemblaggi d’arti come dopo una dissezione, secondo suggestioni che forse evocano nudità alla Lucien Freud miste d’inquietudine baconiana (magari anche per quel medesimo procedimento a partire dalle fotografie) ma a progressiva perdita di contesto, come epurate, sterilizzate, tolte della personalità.
Ed il primo esempio d’uomo è certo se stesso: numerosi e notevoli gli autoritratti, schivi, mai diretti, con gli sguardi puntati in basso o di lato, presi come attraverso convessità di specchio, con la schiena o il busto protagonisti, dentro pose da prigioni michelangioleschi che tentano di ritrovare l’articolazione e la libertà del movimento, innaturali perché trattenuti ma immensamente umani e spogli di difese. E insieme al suo corpo, quelli di altri uomini, di altre donne, in isolamenti e vuoti, spazi neutri che parlano in termini di pulizia chirurgica, in odore di disinfettante ospedaliero e che passano dallo sfondo alle rosee rotondità o magrezze portandosi dietro un’essenzialità che riserva tutta l’attenzione alle questioni esistenziali, allo stupore per le funzioni vitali e al disagio della costrizione fisica, nel rebus epidermico e venoso, dei tessuti, dei muscoli più che dello scheletro portante.
Sono visioni di mani che ingigantiscono, gambe che scompaiono in scie vischiose, applicazioni di protesi e fuoriuscite d’organi che sussistono, galleggiano in un’atmosfera satura, come strumenti di durata, componenti strutturali. Sono lucide allucinazioni cui non ci si può sottrarre.
Ma quest’uomo che è quasi soltanto carne, passibile di una mortalità insignificante come pollame da macello, assiste nel suo percorso al grande mistero della procreazione, si disperde in altre carni, si moltiplica e stupisce di essere se stesso nei propri figli, nuovi corpi rosei e innocenti in bilico in questo mondo asettico, troppo illuminato, impossibile e sorprendente sin dal primo respiro artificiale, violento come le immagini che l’artista condensa dentro i piccoli supporti a potenziare i forti contenuti, brutale come l’assenza di contesto che esclude ogni banalità delle composizioni, possente come la sapienza pittorica con cui sono rese queste carni illuminate, questa implacabile analisi dell’esistenza.